articolo originale del Prof. Angelo Bertolo

Tutta la storia dell’India può essere considerata in parallelo con la storia dell’Europa, della civiltà occidentale moderna, della civiltà antica greca e romana, e delle civiltà del medio oriente. Con delle differenze, come è naturale, ma anche con dei paralleli sorprendenti.

La civiltà della valle dell’Indo ha inizio verso l’anno 3000 avanti Cristo, si estende su di un’area di più di un milione di km quadrati, e dura fin verso il 1600 AC, quando incominciano ad arrivare le popolazioni indoeuropee apportatrici di un altro tipo di civiltà, e del Sanscrito, lingua e cultura. Sembra non siano stati i nuovi popoli provenienti da nord ovest, dall’Iran, dal Caucaso e dalle pianure russe, a causare la decadenza e la fine della civiltà di Harappa; la decadenza e la fine di quella civiltà sarebbe avvenuta da sola, per cause interne che non sono state ancora ben comprese. O forse sì. La decadenza e fine di quella grande civiltà sarebbe avvenuta per cause naturali dopo la sua crescita e la sua massima espressione, per esaurimento naturale del suo slancio vitale – come è accaduto per tutte le civiltà che si sono succedute nella storia.

A differenza delle contemporanee civiltà della Mesopotamia con cui la civiltà dell’Indo sembra avere avuto rapporti e relazioni, non siamo riusciti a comprenderne la scrittura. Per i popoli della mezzaluna fertile fra i fiumi Tigri ed Eufrate, e per l’Egitto, conosciamo molte cose: sappiamo che erano semiti, conosciamo il tipo di organizzazione, i loro poemi epici, la religione, le loro leggi con i codici, il livello di tecnologia e il tipo di costruzioni civili. Il centro politico e culturale più importante della civiltà variava geograficamente: la città più importante a volte era più a sud, a volte più a nord, a seconda della maturazione, e della fortuna dei singoli popoli che appartenevano a questa civiltà, a seconda della organizzazione delle singole entità politiche. Per la valle dell’Indo conosciamo soltanto il livello della loro tecnologia, il fatto che anch’essi erano esperti agricoltori e che producevano un surplus agricolo alimentare, il che permetteva una vita organizzata nella città, e che usavano scavare canali per l’irrigazione — come in Mesopotamia.

Conosciamo relativamente poco della loro religione: lo desumiamo dalle immagini delle loro sculture, dai timbri e dai sigilli rimasti, non dai testi scritti che si riesce a reperire ma che rimangono muti. Sappiamo che i popoli del Medio Oriente erano semiti — gli Ebrei sono una delle popolazioni semite strettamente legate per il tipo di civiltà, ma altri popoli della stessa area non lo erano, come gli Ittiti nell’Asia minore che erano indoeuropei, e i Sumeri, il primissimo popolo che noi prendiamo in considerazione per aver introdotto la scrittura e un tipo di agricoltura e di organizzazione politica moderna, e che con il tempo sembra si siano perduti e assimilati dalle popolazioni accadiche successive nella Mesopotamia. Come gli Etruschi nell’Impero Romano. Non sappiamo chi fossero questi Sumeri, a quale stirpe o razza umana appartenessero, come non sappiamo chi fossero gli abitanti della valle dell’Indo. Possiamo supporre che fossero delle popolazioni dalla pelle piuttosto scura come i primissimi abitanti di Creta, e che in qualche modo le popolazioni Tamil nell’India moderna siano imparentate con loro. Questa civiltà della valle dell’Indo può essere paragonata in tutto e per tutto alle civiltà della Mesopotamia, solo non conosciamo bene quale sia stata l’eredità spirituale lasciata alle civiltà successive, nella tecnologia e nella religione. Probabilmente è stata notevole, ma non possiamo quantificare, come è più possibile, invece, per i popoli accadici della Mesopotamia sugli Ebrei e sui Greci.

L’India moderna consiste principalmente di due gruppi antropologici più o meno mescolati fra di loro, gli Indoeuropei più a nord e i Tamil a sud, con due gruppi principali di lingue, mentre altre popolazioni di consistenza numerica più ridotta e con gruppi linguistici completamente differenti, sono sparse su tutto il territorio a macchia di leopardo, rimasti isolati dopo le invasioni degli Arii.

Le invasioni ariane sui territori della precedente civiltà della valle dell’Indo prima, e poi più tardi anche verso est e verso il sud dell’India, si sono sviluppate per un periodo di tempo molto lungo, in almeno due ondate principali del periodo di oltre mille anni ciascuna. Un po’ come le migrazioni germaniche nei territori dell’Impero Romano a cominciare da prima di Mario e di Cesare fino a dopo di Carlo Magno e degli Ottoni. Oppure anche come la prima ondata di migrazioni indo-europee verso l’Europa provenendo da est, dalle pianure russe e dal Caucaso, nel secondo millennio AC, parallele e contemporanee alle prime invasioni indoeuropee in India. Come le migrazioni doriche nel mondo ellenico attorno all’anno mille AC nel mondo greco della civiltà minoica. Gli studiosi indiani oggi insistono sul fatto che il termine Arii, ariani, significa signori della guerra, nobili, e non ha nessuna connotazione razziale. Lo stesso termine lo troviamo nei nomi geografici di Aryana (uno stato a nord di Delhi), di Iran (Persia), e di Eire (Irlanda, celtico indoeuropeo). Il senso di superiorità razziale conferito dalle ideologie europee moderne sembra essere una pura mistificazione, una degenerazione demenziale che ha causato dolore e incomprensione.

Il livello di conoscenze tecnologiche della civiltà della valle dell’Indo era certamente superiore a quello delle popolazioni indo-europee che stavano entrando in India verso la metà del secondo millennio AC, allo stesso modo come le popolazioni dei territori dell’Impero Romano avevano raggiunto un livello superiore rispetto alle popolazioni germaniche barbariche che stavano arrivando da nord e da est. Ma le popolazioni in arrivo si trovavano in quella particolare fase della loro storia, della loro evoluzione, per cui dimostravano tutta l’energia vitale di popolazioni in via di sviluppo: siamo all’inizio di una nuova fase della civiltà.

Gli Arii che arrivano in India a partire dalla metà del secondo millennio AC dimostrano una lingua affine alle lingue europee contemporanee, e in particolare al Latino e al Greco. Si ritiene anche allo stesso gruppo etnico, con le comprensibili differenze che il tempo di alcuni millenni potrebbe avere causato. Recentemente in India sono sorte delle controversie sulla reale identità di queste popolazioni indo-ariane provenienti da nord ovest, e sull’impatto che questa nuova civiltà avrebbe provocato sulle precedenti popolazioni. Si ipotizza addirittura che queste nuove popolazioni fossero autoctone, indiane, e che dall’India si siano trasferite a nord ovest, verso le pianure caucasiche e verso l’Europa. A me sembra che questa sia una posizione estrema dei partiti nazionalisti indiani. Ci sono dei professori di storia che vengono minacciati fisicamente perché non accettano una tale posizione, perché la loro presa di posizione sarebbe troppo legata alle concezioni europee, in funzione colonialista e anti-indiana. Questa a me non sembra una posizione corretta. Anche in Europa in altri periodi storici abbiamo avuto dei casi in cui si deformava la verità storica ad uso di una ideologia. Anche oggi a causa di una ideologia si rischia di deformare la storia, e di vedere nella storia quello che noi vogliamo vedere.

E’ molto più interessante vedere come questa nuova civiltà degli Ariani abbia avuto una influenza e sia stata a sua volta influenzata dalle civiltà precedenti: nella tecnologia, nella religione, nelle lingue — proprio come i barbari germani quando arrivarono nei territori dell’Impero Romano che avevano invaso. Alcune divinità del pantheon indù sembra non fossero presenti nei testi sacri più antichi, quelli composti prima dell’arrivo in territorio indiano, ma che fossero stati incorporati dopo il loro arrivo, influenzati da altre religioni preesistenti. Sembra anche che gli Arii, organizzati militarmente, non fossero dei coltivatori altrettanto provetti di quelli che abitavano nella valle dell’Indo, ma che conoscessero il cavallo per la guerra, e che piuttosto fossero allevatori. Nei sigilli, e in quel poco di iconografia che riusciamo ad ottenere dai reperti della civiltà dell’Indo, riconosciamo la vacca e l’aratro, non il cavallo, che sarebbe stato introdotto dagli Arii.

Uno degli elementi di particolare interesse per quanto riguarda la civiltà degli Arii, dell’impatto della civiltà ariana in India, e del parallelo che riusciamo a trarne con la civiltà occidentale antica, con la civiltà greca, è la letteratura sanscrita: i Veda prima, tutta l’epopea della Mahabhrarata e Ramayana poi, in parallelo con i poemi omerici. I Veda consistono di un migliaio di inni sacri, di carattere religioso, alcuni dei quali sembrano essere stati composti prima dell’arrivo degli Arii in India, forse addirittura prima del 2000 AC. Una tale antichità sarebbe dimostrata dall’analisi filologica dei testi, delle singole parole che in un periodo molto lungo di tempo tendono ad evolvere come in tutte le lingue del mondo — oltre che dal contenuto. Gli studiosi indiani ci vedono anche dei riferimenti alle osservazioni astronomiche che spingerebbero la datazione ancora più indietro, se non della redazione scritta degli inni, almeno della composizione orale e delle informazioni raccolte. Alcuni studiosi come il Premio Nobel Amartya Sen, non sono d’accordo. E ancora si fa riferimento al fiume Saraswati che avrebbe cambiato corso spostandosi più a ovest, come si può accertare oggi anche dalle rilevazioni satellitari sul territorio e sul percorso meridionale del fiume Indo, sulle rive del quale sorgevano alcune delle città della civiltà della valle dell’Indo (Dholavira, Harappa, Mohenjojaro). Altre città sarebbero rintracciabili oggi sotto il livello del mare, sulla costa meridionale del Sind (oggi in Pakistan) e del Gujarat.

Nei 5000 anni di storia che stiamo esaminando per grandi linee — l’India non è mai stata unita politicamente. Lo è stata soltanto con la dominazione inglese nel 19° e nel 20° secolo, ma subito dopo l’indipendenza l’India si è divisa di nuovo. Per contro, la civiltà cinese ha sempre avuto la tendenza ad essere unita sotto un impero, una dinastia, e nei tempi moderni sotto una dittatura comunista. La Cina, a differenza dell’India, ha anche avuto la tendenza ad essere organizzata attorno ad una stato centralizzato e ad assorbire uno dopo l’altro tutti i popoli che riuscivano ad invaderla e conquistarla militarmente. La civiltà occidentale antica è stata unita politicamente per diversi secoli al tempo dell’Impero Romano, e in parte almeno, con il Sacro Romano Impero di Carlo Magno. Non nei tempi moderni. La civiltà occidentale moderna è caratterizzata da una miriade di stati indipendenti, come era stata la civiltà dell’antica Grecia. Noi consideriamo l’India moderna quella grande repubblica di un miliardo di abitanti con capitale Delhi: ma come regione e come civiltà indiana — assieme all’India vera e propria dovremmo considerare anche il Pakistan, il Bangladesh, lo Sri Lanka, e parte almeno dell’Afghanistan e dell’Indonesia. Un senso di unità culturale invece lo dobbiamo a tutta la tradizione epica e religiosa rappresentata dai Veda, dalla Mahabbrhata, e dalla lingua del Sanscrito. Questa lingua prestigiosa è parlata oggi ancora da circa cinquantamila persone, le persone più colte, e rappresenta quello che fino a poco tempo fa in Europa rappresentava il Latino: il Latino, lingua ormai morta come il Greco, dava il tono a tutta la cultura e alle persone colte in Europa, anche in campo scientifico.

Un altro elemento che conferisce un senso di unità all’India di oggi è rappresentato dalla lingua inglese. Tutte le persone colte e le persone negli affari parlano inglese. Al Parlamento di Delhi per capirsi si parla inglese. I missionari cattolici parlano fra di loro in inglese, e nelle loro scuole tutti gli alunni studiano l’inglese insieme con una lingua locale. In India ci sono almeno venti lingue principali, quasi tutte derivate o influenzate dal Sanscrito, e molte altre lingue minoritarie, – e le lingue scritte usano ben nove alfabeti differenti. La singola lingua più parlata in India è l’Hindi, ma la sua diffusione non raggiunge il 50%. Molti in India risentono in senso ostile del fatto che l’Hindi tenderebbe ad imporsi sulle altre lingue minoritarie. Prima dell’Inglese, il Farsi, lingua persiana di prestigio, era considerata lingua franca in tutta l’India. Un altro elemento che ha dato un senso di unità nella storia dell’India moderna e contemporanea, il senso della Indianness, del sentirsi indiani di cultura e civiltà, è il sentimento nazionalistico di indipendenza e di ribellione contro l’occupazione inglese, condiviso da tutti gli indiani. Gli ultimi viceré inglesi dell’India (Lord Irving prima di tutto) si rendevano conto che la storia degli uomini andava inesorabilmente verso una certa direzione — la storia di tutti gli uomini su questa terra, e comprendevano che l’Inghilterra e tutta l’Europa si trovavano in una fase di piena decadenza mentre l’India si stava risvegliando. Il Mahatma Gandhi era stato informato direttamente dai viceré di questo sentimento e di questa intenzione degli Inglesi. L’Inghilterra era stata una potenza coloniale, imperialista. Della sua occupazione dell’ India aveva cercato di trarre il massimo profitto economico per sé. Ma ora, dopo la disastrosa seconda guerra mondiale ma anche prima, aveva compreso che non poteva più a lungo mantenere una occupazione militare, e si preparava a lasciare l’India in maniera quasi pacifica e amichevole. Mirava quasi a mantenere un ponte con la civiltà dell’India, un senso di buona volontà e di buoni sentimenti: uno degli aspetti più positivi della transculturazione. Lasciavano un sistema di ferrovie funzionanti, un sevizio postale, e forme di governo democratico sul modello occidentale.

Nella sua lunga storia ad iniziare almeno dal tempo dell’arrivo degli Arya in territorio indiano, l’India ha conosciuto molte forme di governo, di organizzazione politica. Non soltanto la monarchia assoluta, o in ogni caso centralizzata, con una espansione territoriale rilevante e con un tentativo di unificazione, come al tempo dei Maurya (terzo secolo AC), dei Gupta (attorno al 400 DC), o più recentemente dei Moghul mussulmani (17° secolo). Molti staterelli periferici al nord all’inizio e prima delle invasioni ariane avevano delle forme di governo repubblicane.

Il più grande uomo che l’India abbia avuto è il Buddha. Il Mahatma Gandhi, ripetono in India, è il più grande uomo nato in India dopo del Buddha.

Nel periodo fra il VII e il V secolo AC furono attivi in India almeno sei maestri, le cui dottrine variavano dall’atomismo simile a quello che venne in seguito teorizzato dal greco Democrito, all’affermazione di princìpi quali quello dell’impossibilità di conoscere la verità, dell’irrilevanza dell’azione, della non violenza verso tutti gli esseri viventi, delle nobili verità del retto sentire e del retto operare, e il concetto di reincarnazione. La non violenza e la reincarnazione sono concezioni nuove rispetto alla religiosità dei Veda. Di due almeno di questi sei maestri abbiamo notizie biografiche più precise, anche se rielaborate nei secoli successivi: Mahavira, fondatore del Jainismo, morto nel 468 A. C., e Siddharta o Gautama, detto il Buddha, intorno al 486 AC. Entrambi erano rampolli di famiglie aristocratiche, delle élite dirigenti di quelle repubbliche che rappresentavano la fase di passaggio dalla società tribale alle monarchie assolute.

Il Buddismo è considerato oggi una religione, e gli Indù considerano Buddismo e Jainismo come delle varianti rispetto alla tradizione indù. Agli occhi degli occidentali più razionali, il Buddismo appare piuttosto una filosofia di vita, non una religione vera e propria con una sola o più divinità da adorare. Notiamo nel Buddismo l’opposizione alla religiosità quasi monoteistica dei Veda di tutta l’epoca precedente. Notiamo l’ambiente razionalizzante in cui tale religione si forma, insieme con gli altri contemporanei maestri di nuove religioni. Notiamo che nel settimo sesto e quinto secolo AC nell’ambiente culturale indiano insieme con la razionalità del pensiero appaiono anche delle intuizioni matematiche. Non abbiamo prove certe ma una tradizione, degli indizi, ci suggeriscono che il famoso matematico greco Pitagora (570 – 496 a.C.) il quale credeva nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime, fosse per lo meno influenzato dalla civiltà dell’India. Gli studiosi indiani di oggi insistono sul fatto che tracce notevoli di problemi geometrici e matematici si evincono dai testi sacri della tradizione indù (Amartya Sen non è d’accordo). In ogni caso notiamo il fatto interessante per cui in questa epoca, attorno al sesto secolo AC, l’ambiente culturale indiano sta diventando più razionale rispetto alle grandi aspirazioni ideali, alla irrazionalità della poesia e della religiosità delle epoche precedenti, l’epoca dei Veda – pur nella grandezza di valori umani che poesia e religiosità comportano.

Notiamo il parallelo interessante con il mondo greco: la filosofia, la razionalità, la matematica, sono di un periodo successivo rispetto alla poesia di Omero, alla grande epopea della civiltà greca. Notiamo il grande senso religioso dei poemi omerici, oltre alla poesia epica. Notiamo che nell’epoca successiva più razionale, gli uomini mettono in discussione l’esistenza stessa degli dei dell’Olimpo. Socrate viene condannato a morte perché corrompeva i giovani, perché non sufficientemente religioso. Notiamo ancora il singolare parallelo del Buddha che rimette in discussione le credenze religiose precedenti, e la sua filosofia che è alla base di una nuova religione, forse al di là di quanto egli stesso intendesse. Anche in Occidente, in Grecia, prima Pitagora, e poi Platone stesso: è una figura morale, ed esercita una influenza morale in molte generazioni di studiosi. Più tardi, ci saranno dei fraintendimenti con il Cristianesimo stesso nei Padri della Chiesa, proprio a causa della morale platonica che poteva essere di una natura quasi religiosa.

Ripetiamo: poemi ed epopea omerica per la Grecia prima, nei tempi più antichi, e poi in una fase successiva della civiltà – la razionalità la filosofia e la matematica. In India: epopea e religiosità espressa specialmente dai Veda prima: in un secondo tempo razionalità del pensiero di Buddha e Mahavira e contemporanea creazione di matematica e di filosofia. Il Buddha — circa ottanta anni prima di Socrate – possiamo considerarlo un contemporaneo. Possiamo immaginare che certe scoperte scientifiche e tecnologiche, certe prese di posizione culturale possano aver avuto influenza su altre civiltà geograficamente più lontane nel giro di uno o due secoli, anche se noi non abbiamo prove e riscontri certi, prove inconfutabili.

Un terzo parallelo vorrei portare all’attenzione, almeno come provocazione, come postulato, o come ipotesi che non riesco a dimostrare. Confucio è uno dei filosofi che hanno avuto una immensa fortuna, e influenza, su di un’altra civiltà del mondo antico: la Cina. Confucio, contemporaneo del Buddha e quasi contemporaneo di Socrate, non è l’unico personaggio razionale del mondo cinese a lui contemporaneo. La sua morale ricorda alquanto i suggerimenti morali del Buddha, in senso più pratico, più economico, più civile, meno metafisico: lui guarda più concretamente alle cose di questa terra, al lavoro e all’economia. In ogni civiltà di un certo valore, nella sua evoluzione, nei pattern che si ripetono – simili ad altre civiltà contemporanee o di epoche differenti, rimane il fatto della personalità: ogni civiltà, come ogni singolo uomo, dimostra una sua caratteristica personale — molto personale, come possiamo vedere meglio di tutto nelle opere d’arte di un singolo artista o di una intera civiltà. L’arte greca differente rispetto all’arte di un’altra civiltà. A parte dunque la particolare personalità della civiltà cinese, simile ma diversa dalle altre, rispetto alla civiltà indiana e alla civiltà greca e occidentale, — l’epoca di una certa razionalità rappresentata da Confucio, mi suggerisce l’esistenza di una epoca precedente di almeno alcuni secoli, nello stesso ambiente culturale, in cui prevaleva l’epopea, la poesia eroica e religiosa. Questo è un postulato, secondo la concezione vichiana della storia per cui, prima dell’epoca in cui gli uomini riflettono con mente pura, “gli uomini avvertiscono con animo perturbato e commosso”. E creano la poesia e le religioni. Ma non mi sembra di trovare riscontro di una epopea di tali dimensioni nella Cina all’inizio del primo millennio AC, e prima.

Un amico giovane studioso brillante mi suggerisce un’idea interessante: è accaduto in Cina poco prima dell’epoca Han nel terzo secolo AC, come è accaduto anche in altri ambienti culturali in Occidente, — che l’imperatore ordinasse di bruciare tutte le opere del passato – con lo scopo di costruire un mondo nuovo, secondo ragione, secondo la ragione e le concezioni filosofiche del momento. Nel 213 AC l’imperatore Ying Zheng della dinastia Qin, energico unificatore costruttore e riformatore, ordinò che tutti gli antichi testi fossero bruciati, ad eccezione di quelli a carattere scientifico e tecnico, e mise a morte parecchi letterati. A Firenze Savonarola fa bruciare sulla piazza libri e opere d’arte – ma il suo scopo era piuttosto di carattere morale. L’Illuminismo in Europa vuole disfarsi e abbandonare tutte le opere del passato, del Medioevo, che riflettono un atteggiamento religioso e oscurantista. L’Islam brucia la biblioteca di Alessandria perché inutile o dannosa, secondo le posizioni religiose più estreme. La Germania nazista brucia i libri che il regime non gradisce. Questo bruciare dei libri in Cina nel terzo secolo AC può aver avuto delle conseguenze più radicali nel senso politico voluto dall’imperatore. Come conseguenza, noi oggi manchiamo di molte informazioni riguardanti i periodi precedenti – e di una eventuale epopea.

La civiltà Indiana in parallelo con la civiltà occidentale antica greca e romana, ma anche moderna, presenta almeno una caratteristica che appare differente: la storiografia. In Occidente abbiamo una tradizione storica di tutto rispetto: Erodoto, Senofonte, Tucidide Polibio, Sallustio, Livio, Tacito, e molti altri. Alle volte si tratta soltanto di informazioni e descrizioni di popolazioni e di località, di descrizioni di avvenimenti politici o militari, a volte appare una vera e propria concezione della vita, della storia. Le informazioni che si ricavano dimostrano una certa accuratezza degli autori nel reperire e commentare i fatti. I libri storici della Bibbia sono una narrazione di eventi e anche una particolare vera e propria filosofia della storia, con informazioni di una certa accuratezza, con registrazione di fatti anche negativi che altri popoli avrebbero omesso, e con riflessioni sul perché del comportamento e della presenza umana sulla terra. In India manca una tale tradizione. Gli Arabi hanno un solo filosofo della storia che meriti tale nome: Ibn Khaldun (1332-1406).

Un avvenimento di particolare importanza per comprendere la storia dell’India, per dare una data abbastanza precisa agli avvenimenti, è la discesa di Alessandro Magno negli anni 326- 325 AC. La civiltà dell’India aveva avuto un qualche contatto con le civiltà mesopotamiche prima e con il mondo greco poi, con influenze reciproche. Sul mondo greco era stata forse più appariscente l’influenza dell’India che viceversa, come sembra dimostrato dalla presenza di Pitagora e dei matematici greci, i quali avrebbero potuto essere influenzati in qualche modo dalla civiltà dell’India, sia pure indirettamente. Con l’arrivo di Alessandro, l’influenza in India della civiltà greca è notevole, come testimoniato dalle nuove tecniche di espressione artistica. Ma è importante specialmente per la datazione degli avvenimenti e delle situazioni, e per una concezione più moderna della realtà della storia. Più tardi, con l’arrivo degli Arabi e dell’Islam, l’India continuerà ad esercitare una influenza culturale sul mondo occidentale come è dimostrato dal suo contributo nelle matematiche: gli indiani sono fieri di dimostrare che i nostri numeri cosiddetti “arabici”, sono in realtà “indiani”. Gli Arabi li avrebbero presi direttamente dall’India e trasmessi poi all’Europa.

Durante tutti i lunghi secoli dall’epoca di Alessandro fino ai giorni nostri, l’India sembra essere rimasta in una fase di stallo, di relativa stasi, non di evoluzione profonda con trasformazioni radicali, con invasioni barbariche e con un Medioevo profondo prima e con un Rinascimento poi — come era accaduto in Europa: un Rinascimento inteso in un senso più ampio, un Illuminismo come evoluzione estrema dal Rinascimento, e una crescita ed espansione che avrebbero portato l’Europa e l’Occidente in genere, a creare nuova scienza e nuova tecnologia, e ad espandersi e imporsi su tutta la terra. Fino ad esaurire la sua spinta vitale alla fine del 20° secolo. Lo standard di vita rimaneva ad un livello relativamente elevato in India – se paragonato a quello dell’Europa stessa fino alla Rivoluzione Francese. Un notevole contributo dell’India alla creazione della matematica e delle scienze astronomiche lo abbiamo verso il V – VI secolo con Arryabatta (499), Varahamihira (505-587), Brahamagupta, Bhaskara e altri, un po’ prima dell’arrivo degli Arabi e dell’Islam, che coincide con un periodo di stasi e di decadenza. Gli Indiani conoscevano la forma e le dimensioni della terra, e già avevano in Ujjain un meridiano primario, molto prima del meridiano di Greenwich. Abbiamo anche un caso interessante: la comunità scientifica indiana condanna le teorie di Arryabatta come in Europa la comunità scientifica, non solo la Chiesa, avrebbe condannato Galileo.

La città di Calcutta alla fine del 18° secolo era più ricca e più prospera di Londra – riferiscono gli stessi visitatori inglesi. Anche il livello delle conoscenze tecnologiche era di tutto rispetto, nell’arte della tessitura per esempio, niente affatto inferiore a quello dell’Europa contemporanea. I visitatori europei e arabi, Marco Polo alla fine del XIII secolo e Ibn Battuta poco dopo, descrivono l’India e tutti i paesi dell’Asia in termini positivi. E ci sono i periodi di stasi, di decadenza, ci sono i secoli bui anche per l’India. E’ soltanto con il contatto con i colonizzatori europei, gli Inglesi in particolare, con l’indipendenza e con il ritiro degli Inglesi — che l’India dà segni di una profonda rinascita culturale e politica. La crescita della popolazione è uno degli elementi di questa crescita vertiginosa. Indizi di questa nuova fase li troviamo già prima dell’arrivo degli Inglesi. Corsi e ricorsi storici. Le ribellioni e le guerre per cacciare gli Inglesi dall’India sono chiamate guerre di indipendenza, come le guerre degli Italiani contro l’Austria durante il periodo del Risorgimento. L’India, come l’Italia nel XIX secolo di fronte agli altri popoli, voleva riscattarsi dopo un lungo periodo di decadenza. L’India è oggi una potenza mondiale.

Italy Area 301.278 km2 Popolazione 58.133.509 milioni Densità 192 km2

India 3.287.263 1.095.351.000 312  (325 BC pop. 100 milioni) (inizio 17° secolo 180 milioni)(1881 240 milioni, primo cens)   (1951 361 milioni) (1961 439 milioni)

Pakistan 796.095 165.803.560 180   (1961 42.880.000) (1950 35 milioni)

Bangladesh 148.393 147 milioni 980  (1961 50.840.000) (1950 45 milioni)

Sri Lanka 65.610 20.222.240 290

Afghanistan 647.497 35.056.997 35

Indonesia 1.904.569 245.452.739 115  (1945, Jakarta, 900.000 abitanti)(1996 180 milioni)( Java 1825 6milioni, 1850 9,5m.   1875 18m. 1900 28m. 1925 36m. 1961 63m. 1999 99m.).

China 9.561.000 1.313.973.713 (1950 – 485 milioni)

 

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