di Giorgio Da Gai

La doppia morale degli Stati Uniti e la crisi di un regime dispotico e fallimentare

La tragedia del popolo venezuelano si consuma nel braccio di ferro tra un governo comunista dispotico e fallimentare e l’ennesimo atto di prepotenza degli Stati Uniti, Stato canaglia per antonomasia.

Gli Stati Uniti sono uno Stato “canaglia”, una nazione che minaccia la pace internazionale e la sovranità delle nazioni. La scusa è sempre la stessa: la difesa della pace e dei diritti umani, la lotta al terrorismo. Queste sono le patetiche maschere che l’America indossa per legittimare la sua politica espansionista. Una politica irresponsabile e criminale che ha creato nazioni “farlocche” come il narco Stato Kosovo; alimentato conflitti disastrosi in Medio Oriente (Afghanistan, Iraq e Siria) e Nord Africa (Libia) favorito la diffusione del terrorismo islamico (la nascita del Califfato) fomentato crisi politiche per abbattere i governi giudicati “scomodi”. Su quest’ultimo punto è bene ricordare che nelle Rivoluzioni colorate dell’ex Unione Sovietica hanno avuto un ruolo decisivo: le ONG di Soros, l’International Republican Institute (IRI) gestito dal Partito Repubblicano e l’Institute for International Affairs (NDI) gestito dal Partito Democratico.

Gli Stati Uniti vogliono abbattere il regime di Maduro per avere mano libera in America Latina: un continente ricco di risorse naturali (oro e petrolio in particolare) un serbatoio di manodopera a basso costo, un mercato con milioni di potenziali consumatori. Caduta la Cuba del caudillio Castro, il Venezuela chavista è l’unico Paese che si oppone all’egemonia degli Stati Uniti in America Latina, oltre ad essere alleato della Russia, nemica storica degli Stati Uniti.

Il Venezuela è una nazione governata da un regime dispotico e fallimentare, che ha portato il Paese alla fame e soffocato il dissenso. Per comprendere la crisi del Venezuela dobbiamo ripercorre la sua storia recente. Il Venezuela negli anni 70, grazie ai proventi del petrolio era la nazione più ricca dell’America Latina, una ricchezza che la classe politica di allora non seppe estendere alla maggioranza della popolazione e nemmeno riuscì a creare un’industria nazionale idonea a promuovere lo sviluppo economico e l’autosufficienza alimentare del Paese. Il Venezuela rimase una nazione “ricca” ma sottosviluppata, al pari di molti dei Paesi latino-americani. Negli anni 80 e 90 le diseguaglianze sociali crearono un forte clima di malcontento nel Paese; di questa istanza di giustizia e sviluppo sociale si fece portatore Ugo Chavez, un tenente colonnello dei paracadutisti. Nel 1992 Chavez con un colpo di stato tentò di rovesciare il governo del presidente Carlos Perez, il golpe fallì e Chavez fu imprigionato; ma questo non significò la sua fine politica. Il colonnello Ugo Chavez diverrà per gli strati più poveri della popolazione venezuelana e per molti intellettuali un novello Simon Bolivar (1783 – 1830) il generale, patriota e rivoluzionario venezuelano, simbolo dell’indipendenza e dell’ emancipazione dei popoli latino-americani. Nel 1994 Chavez sarà scarcerato grazie a un’amnistia e riprenderà l’attività politica, nel 1999 sarà eletto presidente della repubblica.

Il governo chavista nazionalizzò l’industria petrolifera e si fece promotore di una politica ispirata al bolivarismo, un misto di socialismo riformatore e di nazionalismo anti – imperialista (ieri antispagnolo oggi antiamericano). Il governo chavista cercò di ridistribuire i proventi della rendita petrolifera tra gli stati più poveri della popolazione, investendo in ampi programmi di educazione, di scolarizzazione e di salute pubblica. Nel 2002 l’opposizione interna cercò di rovesciarlo con un colpo di stato sostenuto da Washington; il golpe non ebbe successo grazie al sostegno popolare goduto da Chavez e dal suo regime. Alle riforme sociali non seguirono quelle economiche, il Venezuela rimase un Paese dipendente dalla rendita petrolifera, dalle importazioni di merci e di alimenti, privo di un’industria capace di gestire le principali risorse nazionali, l’oro e il petrolio che sono ancora raffinati all’estero. In politica estera il bolivarista Chavez assunse posizioni anti imperialiste (antiamericane) che lo misero in contrasto con gli Stati Uniti, appoggiò tutta la sinistra latino americana, compresi i guerriglieri marxisti delle FARC attivi in Colombia, questo lo mise in conflitto con il governo di Bogotà. Ugo Chavez muore di cancro il 5 marzo del 2013 a succedere sarà l’ex sindacalista Nicolas Maduro.

Maduro privo della visione politica e del carisma del suo predecessore presto si trova a dover affrontare una profonda crisi politica ed economica. Infatti, nel 2014 crolla il prezzo del petrolio, il valore al barile si dimezza, il governo venezuelano perde la principale fonte di finanziamento. Ad aggravare la situazione del Paese contribuiscono anche altri fattori: la criminalità diffusa, la repressione del regime e la corruzione dei suoi funzionari (la boliburguesia). Le sanzioni americane daranno il colpo di grazia alla fragile economia venezuelana.

Nel 2015 il partito che sostiene Maduro esce sconfitto dalle elezioni, l’opposizione conquista la maggioranza nell’Assemblea Nazionale, il parlamento venezuelano. Nel marzo del 2017, Maduro avvalendosi di una sentenza del Tribunale supremo di Giustizia esautora il parlamento dei suoi poteri e nel luglio del 2017 indice nuove elezioni, alle quali il principale partito di opposizione non partecipa. Le elezioni sono una farsa ma i sostenitori di Maduro ottengono la maggioranza, nasce l’Assemblea Nazionale Costituente, il nuovo organo costituzionale che esercita le funzioni dell’esautorato Parlamento.

Il governo Maduro si dimostra incapace di gestire la crisi del Paese e reprime con violenza il dissenso (circa 8000 vittime nel biennio 2015 – 2017). La situazione del Paese peggiora, lo scontro politico si acuisce, crescono la disoccupazione e l’inflazione, nei negozi scarseggiano i beni di prima necessità e le medicine, la criminalità dilaga, l’inflazione è fuori controllo. Per fuggire dalla violenza e dalla miseria, sono emigrate dal Venezuela circa tre milioni di persone.

Maduro è confermato presidente nel maggio del 2018 con circa il 70% dei voti; elezioni, alle quali non partecipa parte dell’opposizione. L’opposizione contesta il risultato e ottiene un ampio sostegno internazionale. Il 23 gennaio 2019 l’Assemblea Nazionale, l’esautorato parlamento venezuelano dichiara invalida l’elezione di Maduro e nomina Juan Guaidò presidente ad interim del Venezuela. Stati Uniti, Canada, Australia, l’Unione Europea ad eccezione dell’Italia e la maggioranza dei Paesi latino – americani (Brasile, Argentina, Cile, Colombia, ecc.) riconoscono Guaidò come presidente ad interim del Venezuela, una decisione presa in conseguenza del rifiuto di Maduro a indire nuove elezioni.

Maduro rimane il presidente legittimo per: la Russia, la Cina, l’Iran, la Turchia, la Bolivia, l’Uruguay e il Nicaragua. In sintesi tutte le nazioni legate al regime venezuelano da stretti interessi economici e geopolitici; minacciate dall’ingerenza statunitense (Iran); o ideologicamente affini (la Bolivia). Il Messico e il Vaticano assumono un atteggiamento neutrale. Gli Stati Uniti si spingono oltre e non escludono un eventuale intervento militare: «Tutte le opzioni sono sul tavolo» Minaccia il presidente Donald Trump. Mike Pompeo (ex direttore della CIA e attuale segretario di Stato) e James Mattis (ex segretario alla Difesa) chiedono un intervento armato in Venezuela in difesa dei “diritti umani” e incitano le forze armate a ribellarsi a Maduro. Il presidente venezuelano non cede, rivendica il diritto di indire nuove elezioni solo a scadenza del proprio mandato; e minaccia, in caso d’intervento militare di trasformare il Venezuela in un nuovo Vietnam (il paragone più attuale sarebbe la Siria).

Non ci sono dubbi, il regime di Maduro è dispotico e fallimentare, come lo sono stati tutti i regimi comunisti; ma questo non autorizza gli Stati Uniti e i loro alleati a interferire nelle questioni interne di uno Stato sovrano come il Venezuela; o peggio, di promuovere azioni militari dagli esiti disastrosi per la popolazione e per la pace internazionale. Uno scenario già visto in Medio Oriente e in Africa settentrionale, che potrebbe ripetersi in Venezuela se ci fosse un intervento militare straniero. Maduro può contare sul sostegno di una buona parte delle forze armate e della popolazione venezuelana (gli strati più poveri, gli intellettuali di sinistra, la burocrazia statale); sull’appoggio internazionale di nazioni potenti come la Cina e la Russia. Le pressioni internazionali e le forze armate venezuelane decideranno l’esito dello scontro tra Maduro e l’opposizione.

La Russia non abbandonerà Maduro come non abbandonò Assad, quando la sopravvivenza dell’alleato fu minacciata da un intervento straniero. La Russia, vede nel Venezuela un’opportunità per contenere gli effetti dell’accerchiamento americano provocato dall’allargamento a est della Nato; la prevista costruzione di una base aerea nell’isola di La Orchila, a 200 chilometri da Caracas, consentirebbe a Mosca di acquisire una posizione strategica in America Latina e metterebbe al sicuro Maduro da un possibile intervento militare straniero. La Russia vede nel Venezuela un importante alleato per mantenere alto il prezzo del petrolio; che insieme al gas sono le principali fonti di entrata del bilancio russo, discorso analogo vale per l’Arabia Saudita e per l’Iran. La Cina vede nel Venezuela un importante fornitore di petrolio per la sua “assetata” economia, un potenziale mercato per le sue aziende. Discorso analogo vale per la Turchia, nazione manifatturiera povera di risorse energetiche. Il sostegno di Mosca al regime venezuelano non è solo economico ma anche militare, il Venezuela non ha una propria industria militare e quindi dipende dalle forniture russe.

Ipocrita è la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Nazioni che condannano Maduro ma appoggiano tirannie uguali o peggiori di quella venezuelana. Mi riferisco al regime del generale Al Sisi, salito al potere grazie ad un golpe militare e responsabile di una feroce repressione (Giulio Regeni attende ancora giustizia). Mi riferisco all’Arabia Saudita, una dispotica teocrazia, riferimento ideologico e sostegno del terrorismo islamico; una nazione che fa strage di civili in Yemen (migliaia di vittime civili causate dai bombardamenti della coalizione a guida saudita e dal blocco al rifornimento di viveri e di medicinali imposto dalla stessa). In America Latina l’ipocrisia degli Stati Uniti è paradossale, supera i limiti della decenza e sconfina nel ridicolo: si presentano come paladini dei “diritti umani” e della “democrazia”; ma in passato hanno sostenuto tutte le dittature di destra dell’America Latina, dalla Cuba di Batista al Chile di Pinochet, compreso l’Argentina e il Brasile governati dalle giunte militari. Non discuto sull’opportunità di queste scelte, ma sull’ipocrisia della loro politica e sulla pretesa di voler “governare” il mondo o di plasmarlo a loro immagine e somiglianza. Per gli Stati Uniti vige il principio della doppia morale: la dittatura è legittima quando non ostacola i loro interessi; ma diviene illegittima in caso contrario.

Bene ha fatto il nostro governo a mantenere una posizione neutrale sulla questione venezuelana, rifiutando di riconoscere Guaidò come legittimo presidente del Venezuela, in gioco ci sono: il rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli che ci impedisce di interferire sulle questioni interne di altri Stati (Conferenza di Helsinki 1975); la sicurezza di oltre due milioni di oriundi italiani, orgoglio della nostra emigrazione e ricchezza del Venezuela. L’Italia sta seguendo con costante attenzione la situazione in Venezuela. Dichiara il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Auspichiamo la necessità di una riconciliazione nazionale e di un processo politico che si svolga in modo ordinato e che consenta al popolo venezuelano di arrivare quanto prima a esercitare libere scelte democratiche». Allo stesso tempo si dice contrario: «a interventi impositivi di altri Paesi».

Quella del governo italiano è stata una decisione che ha provocato una divisione all’interno delle istituzioni. Favorevole al riconoscimento di Guaidò il presidente della repubblica Mattarella: «non vi può essere né incertezza né esitazione: la scelta tra volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato, e dall’altro la violenza della forza e le sofferenze della popolazione civile». Contrario il governo gialloverde ma diviso al suo interno tra i fautori della neutralità e i sostenitori di Juan Guaidò. Lapidario è il ministro degli interni Matteo Salvini: «Maduro è un fuorilegge, si vada a elezioni». Scrive il vicepremier Luigi Di Maio in una lettera pubblicata dal quotidiano “Avvenire”: «Non dobbiamo schierarci né con Maduro né con Guaidò. Non vogliamo un’altra Libia».

Mi stupisce la posizione di Salvini, in materia d’immigrazione si è dimostrato un vero sovranista, il suo comportamento di ministro è esemplare. Purtroppo non ha capito che in Venezuela la posta in gioco non è la rimozione di un dittatore; ma la difesa della sovranità nazionale da pretestuose ingerenze e la necessità di impedire un conflitto, che avrebbe effetti disastrosi in un Paese stremato da anni di crisi. Discorso analogo vale per Fratelli d’Italia, che come la Lega è un partito sovranista. Non mi stupisce invece la posizione di Forza Italia, del Partito Democratico, e di alcuni esponenti delle istituzioni italiane ed europee: uomini e forze politiche che rappresentano i poteri sovranazionali o sono funzionali agli stessi (l’Unione Europea); uomini e forze politiche che sostengono un ordine internazionale unipolare a guida americana.

Sul principio di autodeterminazione dei popoli il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov è stato chiaro: «Consideriamo il tentativo di usurpazione del potere in Venezuela come una violazione dei fondamenti del diritto internazionale». La necessità di tutelare gli italo-venezuelani ci obbliga a un atteggiamento neutrale e prudente, gli italo-venezuelani sono le potenziali vittime di una guerra civile scatenata da un intervento militare straniero, o della repressione di un regime dispotico come quello di Maduro. In Venezuela la nostra comunità è formata in prevalenza d’ imprenditori, la classe medio-alta del Paese, tradizionalmente ostile al regime chavista. Vogliamo fare gli eroi con la vita degli altri? Vogliamo promuovere l’ennesima avventura “imperialista” degli americani? Non ne abbiano abbastanza di questi “apprendisti stregoni” e della loro politica irresponsabile e criminale?

Solo il popolo venezuelano ha il diritto di rimuovere o mantenere al potere Maduro, al suo insindacabile giudizio tutta la comunità internazionale si deve adeguare, cercando di promuovere una mediazione tra le parti in conflitto e sostenendo la popolazione con aiuti umanitari. Aiuti che Maduro non deve respingere se provengono da Paesi amici o neutrali come l’Italia.

Che Dio abbia a cuore le sorti di questo grande e disgraziato Paese.

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